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da EMPOWERMENT - CHE COSA VUOL DIRE?

la storia di Giulia

Ripensare il potere

Giulia è una giovane molto legata alla nonna e, quando questa si ammala di cancro, cerca in tutti i modi di esserle di aiuto. Ha sempre amato studiare, per cui trova naturale documentarsi sulla malattia della nonna, anche se nella sua carriera scolastica si è dedicata a studi umanistici. La nonna non tollera la chemioterapia, che ha su di lei effetti collaterali devastanti. I medici decidono di interrompere il trattamento e valutare se riprenderlo dopo un periodo di sospensione. La nonna non vuole saperne: checché ne dicano i medici, non intende sottoporsi ancora alla chemioterapia, per lei è già deciso che non la riprenderà. A Giulia sembra assurdo che si stia senza far nulla mentre la malattia avanza. L’età, il fatto che la nonna abbia più di ottant’anni non le sembra una buona ragione per rassegnarsi.

Un giorno Giulia accompagna la nonna a una visita dall’oncologo. Prova timidamente a proporre un chemioterapia metronomica, meno tossica e forse con qualche speranza di frenare la malattia. L’oncologo la guarda e le chiede: “Sei medico?”. Giulia risponde: ”No, mi sto laureando in scienze della comunicazione”. L’oncologo sta un po’ in silenzio, poi fa una smorfia e borbotta: “Internet”. Ancora qualche secondo di silenzio, quindi si rivolge alla nonna e chiede: “Lei è qui per farsi curare?”. La nonna annuisce con l’aria di dire “ovviamente”.

Nella vicenda di Giulia è decisamente assente l’empowerment. Siamo agli antipodi di un’esperienza di empowerment in medicina. L’ostacolo è il potere. Eccoci di fronte a un paradosso, visto che il nocciolo dell’empowerment è proprio il potere. Fare empowerment è dare potere, ma il potere ostacola l’empowerment. Il punto è che nella vicenda di Giulia il potere non ha le caratteristiche che dovrebbe avere.

Perché l’empowerment sia possibile il potere dev’essere dinamico, cioè qualcosa che non è fisso, ma può cambiare. Giulia cerca di prendere un certo potere nella gestione della malattia della nonna, ma non ci riesce, trova una barriera e tutto resta come prima. Il potere non cambia.

L’empowerment è possibile se il potere può cambiare senza che si debba rivedere la struttura sociale, senza mettere in discussione le istituzioni e le posizioni che nella società hanno le persone interessate. L’oncologo si sente minacciato dall’intervento di Giulia, come se proporre la metronomica fosse un tentativo di rubargli il compito di curante e così indebolire il suo status di professionista della salute. Perciò chiede: “Sei medico?”. Se Giulia è medico, non c’è problema, può dire la sua senza per questo sconvolgere l’ordinamento per cui il compito di curare spetta ai medici. Ma, se non è medico, il suo è un tentativo sovversivo.

Una terza condizione, necessaria perché si realizzi l’empowerment, è che il potere possa espandersi, diffondersi nella società, in modo tale che ognuno possa accrescere il proprio senza che gli altri lo perdano. L’oncologo tratta Giulia con severità perché dal suo punto di vista lasciare che un non medico proponga una cura significa togliere potere ai medici, a cominciare da lui. Siccome ha l’impressione che Giulia stia tentando di portargli via il potere, la blocca, anche per responsabilità professionale: non può permettersi di non avere l’autorità necessaria per curare quell’anziana signora nel modo che ritiene più opportuno. Giulia va ridotta al silenzio.

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Una quarta condizione è che il potere possa essere esercitato apertamente, in modo trasparente, visibile senza che questo provochi tensioni, conflitti. Nella vicenda di Giulia l’oncologo esercita un potere nascosto, invisibile. Lo fa dando per scontato che dev’essere il medico a decidere le cure per il bene del paziente. Nella misura in cui i suoi interlocutori accettano le regole del gioco, ci credono, le interiorizzano, l’oncologo può continuare a esercitare il potere senza che nascano tensioni e senza bisogno d’imporsi. Tra le regole del gioco c’è anche quella del segreto, secondo la quale le conoscenze mediche devono restare accessibili solo agli specialisti del settore, non essere svelate a tutti. Giulia ha violato questa regola e Internet è un problema anche perché facilita queste violazioni, mettendo a disposizione di chiunque un sapere che dovrebbe essere riservato a persone selezionate.

Con la nonna il potere silenzioso dell’oncologo sembra funzionare tutto il tempo, mentre con Giulia le cose vanno diversamente. Quando Giulia esce allo scoperto e prova a esercitare il potere apertamente, tra lei e l’oncologo nasce la tensione e nei suoi confronti scatta la repressione. La domanda finale rivolta alla nonna mette fine alla repressione. Giulia viene costretta all’acquiescenza, deve accettare anche lei di sottostare al potere silenzioso dell’oncologo, che va riconosciuto senza discutere, perché è nei fatti, nell’ordine naturale delle cose.

C’è una quinta condizione: per fare empowerment il potere deve essere esercitato in uno spazio comune, creato assieme per confrontarsi. Nella vicenda di Giulia questo spazio non c’è. Il dialogo con l’oncologo si svolge in uno spazio chiuso, controllato da chi istituzionalmente detiene il potere. Nel momento in cui l’oncologo si rivolge alla nonna, si scivola per breve tempo in uno spazio concesso, sollecitato appositamente per avere un feedback che legittimi lo status quo. “Lei è qui per farsi curare?” chiede l’oncologo e la nonna annuisce, col che viene ribadita la tacita accettazione delle regole del gioco. Aiuta a capire le ultime due condizioni il Power Cube di John Gaventa, dell’Università del Sussex, studioso di empowerment nei problemi di sviluppo socio-politico [25].

Il Power Cube di Gaventa.

Il cubo è pensato per macrocontesti, per cui considera il livello globale, il nazionale e il locale. Possiamo però usarlo tenendo a mente anche livelli micro, come quello dei rapporti interpersonali. Qualunque sia il livello, l’empowerment si realizza se il potere è visibile e viene esercitato in uno spazio creato assieme, cioè nella colonna davanti a destra.

Se riflettiamo sulle cinque condizioni, possiamo avere il dubbio che l’empowerment sia impossibile, un sogno non realizzabile a questo mondo. Siamo abituati a pensare che per cambiare il potere occorre ristrutturare i rapporti sociali, che se uno guadagna potere qualcun altro irreparabilmente lo perde, che l’esercizio aperto del potere provoca tensione e abbiamo scarsa dimestichezza con spazi creati apposta per esercitare assieme il potere dove nessuno controlla. L’idea di empowerment ci sfida. Per afferrarla dobbiamo ripensare il nostro modo abituale di concepire il potere.

il cubo del potere ideato da Gaventa per chiarire qual è lo spazio dell'empowerment

Titolo:

Empowerment-Che cosa vuol dire?

Autori:

Adele Bianchi, Parisio Di Giovanni. Eugenio Di Giovanni

Copertina:

Adele Bianchi

© 2016 Parisio Di Giovanni

tutti i diritti riservati

ISBN 9791220004121

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